La Spada di Michele

ovvero, il caso non esiste.

Marzo 2020. Eravamo nel mezzo del primo lockdown. L’atmosfera era pesante. Un velo grigio di paura aleggiava nell’aria. Era la prima volta che ci si confrontava con questa nuova parola, “pandemia”. Non si poteva andare oltre i 25 km dalla propria abitazione. I nonni, i genitori, gli amici li si salutava solo grazie alle video-chiamate. Andare al supermercato a fare la spesa era il massimo del diversivo permesso. Ma tutti abbiamo rispettato le disposizioni, spesso contrastanti, in nome del bene comune. Oggi diciamo solo che suonano ancora incongruenti.. ma questa è un’altra storia.

Una frase continuava a tornarmi in testa: “Bisogna portare luce !”. Sì… bisognava portare luce nella vita delle persone, riaccendere la speranza, illuminare un cammino che non si prospettava né breve né semplice. Ovviamente non sapevo come fare.

Un giorno ricevo una telefonata dal marketing manager di un’azienda che non avevo mai sentito, la Spacecannon. Riccardo Croce, questo il suo nome, mi dice subito di dargli del tu. Il tono era molto amichevole. Aveva avuto il mio nome da una amica comune, che gli aveva detto: “Tu devi conoscere Franco Borrelli”. E lui aveva seguito il “Consiglio della vita”, come era solito fare, e come avrei scoperto in seguito. Inoltre abitavamo pure vicini, in barba al lockdown !

Così mi ritrovai, qualche tempo dopo, a prendere un caffè a casa sua. Fu lì che scoprii che la Spacecannon era una azienda italiana che produceva sistemi di illuminazione d’avanguardia (attiva in molte parti del mondo, più che in Italia).

Il dettaglio che mi colpì maggiormente fu che era l’azienda che aveva realizzato l’illuminazione di Ground Zero, a New York, installando – al posto delle Torri Gemelle – dei fasci di luce molto potenti. Un simbolo per il mondo intero.

Quel giorno, a casa di Riccardo, mi aspettavo una proposta di lavoro. E invece me ne tornai a casa tanto semplicemente come ero arrivato. Qualche tempo dopo, ricevetti un secondo invito per un altro caffè. Ero curioso. Certamente questa volta avrei scoperto cosa mi voleva proporre. Ma, ancora una volta: niente.

Le chiacchiere erano piacevoli, la nostra sintonia evidente, ma nulla prendeva forma all’orizzonte. Eppure i nostri discorsi spaziavano dalle teorie di Tesla al colore della luce in relazione alle emozioni. Tornavo a casa sempre con molte idee che per un attimo si affacciavano, ma nessuna in particolare che prendesse forma. E la sensazione che avremmo dovuto fare qualcosa insieme rimaneva lì ad aleggiare. Certo, dopo qualche giorno me ne dimenticavo, preso com’ero dal mio lavoro di fotografo (che non raramente è frenetico).

Maggio 2020. Il lockdown era ormai terminato e finalmente si poteva tornare a uscire. Prendere un caffè al bar sembrava già un grande regalo. E immancabilmente arrivò l’ennesimo invito di Riccardo.

Iniziavo persino ad essere un pizzico sospettoso. Dove voleva veramente andare a parare, il nostro amico? Ma credo fu in quell’occasione, in un bar all’aperto, sorseggiando un espresso e guardando in direzione della Sacra di San Michele, che affiorò in me un’idea. E con grande semplicità gli esposi: “Ma se mettessimo uno dei vostri fari alla Sacra, a simboleggiare la Spada di Michele? Sarebbe un bel modo di portare luce alle persone”.

“Ma sai che non è una brutta idea?” rispose.

Da quel caffè nacque tutto. Scoprii in seguito che buona parte dei progetti e degli incontri significativi della vita professionale di Riccardo avvenivano “per caso”, davanti a un caffè o a pranzo.

L’azienda Spacecannon si offrì gratuitamente di realizzare l’evento; cosa di non poco rilievo, visti i tempi economicamente non facili. Mi incaricai così di contattare la Sacra. Avevo già realizzato un libro, “Anima Sacra”, e una grande mostra dedicata all’abbazia. Così, quando ho annunciato loro che avevo una nuova idea da proporre, credo che per un attimo abbiano pensato: “Ecco ci risiamo…”. E potevo ben capirli: la mia prima mostra doveva durare solo qualche mese, e invece siamo andati avanti per dieci anni ad esporre foto.

Ottenni subito un incontro con il nuovo rettore che si era appena insediato alla Sacra, Don Claudio Papa. All’appuntamento mi presentai con Riccardo, che è un grande oratore. Oltre a rappresentare l’azienda, poi, è un ottimo tecnico, in grado di fornire tutti i dettagli funzionali.

Don Claudio infatti voleva conoscere ogni particolare dell’operazione, dai consumi energetici alle possibilità di visibilità che un’operazione del genere poteva portare. Ci adoperammo per stilare una relazione che fosse la più dettagliata possibile e gliela facemmo avere.

Passarono un paio di mesi senza alcuna risposta. Ogni tanto Riccardo mi chiamava per sapere se avevo notizie. Ma io non avevo nessuna novità. Iniziammo a dubitare della riuscita del progetto, sopratutto perché i tempi per avere l’autorizzazione da parte di Enac (l’ente per i voli aerei ) erano ormai agli sgoccioli. “Forse – mi disse Riccardo – questo progetto non è voluto, dall’Arcangelo”.

Fu lì che mi si accese una seconda lampadina. Anni prima avevo conosciuto uno scrittore e relatore, Michele Peyrani, che ricordavo grazie alla sua storia particolarissima. Sosteneva di essere, per così dire, “in buoni rapporti con l’Arcangelo”. Il suo libro (“21 passi con l’Arcangelo Michele”) era stato per me decisamente folgorante. Fu così che decisi di chiamarlo, per chiedergli se secondo lui l’idea della Spada di Luce era o meno, una buona idea. “Ti dirò”, mi rispose, lasciandomi in sospeso.

Mi chiamò qualche giorno dopo e mi diede la sua versione. Mi rassicurò: secondo lui, l’idea era “voluta dall’alto”. Ma dovevamo metterci ancora un po’ di impegno, perché al momento si era arenata.

Fu così che chiamai Riccardo e ci vedemmo a pranzo. Cercammo di tirar fuori ancora qualche elemento per rafforzare un po’ la nostra suggestione. Decidemmo così di contattare alcuni giornalisti, che avrebbero potuto raccontare l’evento nel caso si fosse realizzato.

Bastò questo, semplicemente questa intenzione senza ancor nulla di concreto, per rimettere in moto tutto.

Nel pomeriggio ricevetti la telefonata di Elisa Bollea, la direttrice della Sacra. Avevamo l’ok. La Spada avrebbe portato luce. Ero entusiasta, una serie di coincidenze ci avevano portato fino li.

Entrammo dunque nella fase operativa. Misi in contatto Michele e Riccardo, che ancora non si conoscevano. Si incontrarono il 21 giugno 2020.

Michele chiese a Riccardo di aprire a caso il suo libro. Riccardo lo fece, e osservò una foto della Sacra di San Michele. Non ne fu molto colpito, pensando che il libro ne fosse pieno.

Macché: quella era l’unica foto della Sacra presente all’interno del volume. Fu l’ennesima sincronicità, e ci spinse ad andare avanti. Riccardo, forte di questa sensazione, riuscì a coinvolgere anche Proietta, un’altra azienda della Val di Susa, che realizza proiezioni di grande formato, a partecipare all’operazione. Avremmo portato l’Arcangelo fuori dall’abbazia proiettandolo sulle sue mura. Alessandro, il figlio di Riccardo, si occupò in modo egregio di tutta questa parte.

Era necessario, a quel punto, individuare bene il puntamento della luce. Facemmo così un sopralluogo alla Sacra. Il punto a cui tutti avevamo pensato per posizionare il faro era vicino all’ingresso dell’abbazia. A pochi metri dal portale, trovammo un praticello che poteva essere chiuso al pubblico. Ci sembrava perfetto.

Dovevamo decidere direzione e inclinazione. Per l’inclinazione io suggerii 47° gradi. 47 è infatti un numero che ritrovo nella mia vita innumerevoli volte, da quando sono ragazzo: uno di quei numeri che ti inseguono. E guarda caso, Michele Peyrani è uno dei pochi che hanno parlato di questo numero, in relazione all’Arcangelo Michele: l’ha fatto nel suo libro.

La direzione del fascio luminoso – la più ovvia – ci sembrava quella in allineamento con la Linea di Michele, ovvero verso sud-est. Guardando verso Torino, però, Michele Peyrani ci fece notare l’importanza della Gran Madre, chiesa tra le più importanti e simboliche del capoluogo piemontese.

Allineare l’Arcangelo e la Madonna? Questo connubio ci apparve più che mai significativo. Il maschile che protegge il femminile. E così fu decisa anche la direzione.

La data del 29 settembre, dedicata a San Michele, si avvicinava. Riccardo mi chiamò per coinvolgermi nelle prove di accensione e puntamento. Controllai: era il 21 settembre.

Quella sera fu molto concitata e piena di eccitazione. Non avevo mai visto il faro acceso. Avevo solo immaginato l’effetto della luce che fende la Valle di Susa verso Torino, ma non ero certo della sua resa. Avevo il timore che potesse sembrare un effetto che mal si sposava con un’abbazia millenaria, tipo un faro da discoteca in un luogo sacro.

Riccardo e i suoi collaboratori montarono la luce portandola a mano su per i ripidi scalini della Sacra. Un centinaio di chili di luce. Poi inserimmo il timer. Si sarebbe accesa verso le 20. Non restava che mangiare un boccone, in attesa del fatidico orario.

A cena non parlammo d’altro. E finalmente, tornando in macchina verso la Sacra, lo vidi per la prima volta: un fascio potente e preciso emergeva tra gli alberi che mi passavano veloci davanti agli occhi dietro il finestrino dell’auto. Si alzava per andare a toccare il cielo assumendo una colorazione blu intenso, che molto mi ricordava il mantello del quadro di San Michele posto all’interno dell’abbazia.

Un brivido percorse la mia schiena. Fu lì che sentii una forza, in quella luce, che poco aveva a che fare con me (e con tutti noi, che avevamo realizzato questo progetto).

Una forza che ormai aveva una vita sua e che avrebbe fatto quello che doveva, indipendentemente dalle nostre intenzioni e piccole intuizioni.

Ne sono testimoni le migliaia di persone che in quella settimana, dal 29 di settembre, sono venute da tutta Italia a visitare la Sacra. Tutti vedevano nel fascio di luce la Spada di Michele.

Migliaia di persone, in quei giorni, sui social mi scrivevano semplicemente: “Grazie”. E io trattenevo a fatica la commozione. E ringraziavo a mia volta la Sacra, l’Arcangelo. Ringraziavo la squadra, che senza volerlo eravamo stati, e che aveva portato luce in un momento così difficile del nostro cammino di esseri umani.

Tutto questo mi ha fatto sentire ancor di più che siamo tutti piccoli viaggiatori dell’esistenza su questa grande astronave che è la Terra.

Mettere da parte le nostre piccole diversità e sentirci nuovamente tutti fratelli in questo viaggio nel cosmo credo sia una luce potente che potremmo portare nelle nostre vite.

Non esistono nazioni, colori politici, categorie di ogni sorta. Accettare con amore e rispetto le reciproche, inevitabili, e preziose umane differenze è il salto di coscienza che possiamo fare. Siamo tutti un’unica grande famiglia, emanazione di un’unica luce.

Che onore, essere stato un minuscolo ingranaggio in questo immenso e bellissimo universo.

Franco Borrelli